Sotto il segno del Professore:
A 40 anni dalla morte di Tolkien, un bilancio.
Quest'anno ricorre il quarantesimo anniversario dalla morte dell'autore considerato da molti critici il padre della narrativa fantasy moderna;
ma l'influenza di Tolkien "scrittore" nel mondo contemporaneo va ben al di là dell'aver fondato - o rifondato - un genere letterario che oggi affolla le librerie:
negli ultimi decenni gli echi del legendarium Tolkieniano hanno ispirato un'intera sub-cultura, di cui fanno parte appassionati di ogni fascia d'età.
Perché, è bene chiarirlo subito, bisogna sfatare questo mito di un Tolkien scrittore di favole per bambini.
È forse vero che quando, nel lontano 21 Settembre 1937, uscì The Hobbit, There and Back Again, l'esordio del giovane professore di filologia anglosassone di Oxford fu presentato come un libro per bambini; dopotutto, il primissimo recensore di Tolkien fu l'allora ragazzino Rayner Unwin, figlio del primo editore de Lo Hobbit Stanley Unwin; ma, già alla fine degli anni Trenta, C.S. Lewis - e non soltanto perché era intimo amico di Tolkien - scriveva:
“For it must be understood that this is a children’s book only in the sense that the first of many readings can be undertaken in the nursery. Alice is read gravely by children and with laughter by grown-ups; “The Hobbit,” on the other hand, will be funniest to its youngest readers, and only years later, at a tenth or twentieth reading, will they begin to realize what deft scholarship and profound reflection have gone to make everything in it so ripe, so friendly, and in its own way so true.”[1]
E ancora, un decennio dopo:
“As the humour and homeliness of the early chapters, the sheer ‘Hobbitry’, dies away we pass insensibly into the world of epic.”[2]
Quando poi, nel 1955, fu pubblicato The Lord of the Rings, fu chiaro fin da subito che l'opera raggiungeva temi e toni ben più alti di quelli che ci si aspettava ai tempi in cui Stanley Unwin sollecitava Tolkien a scrivere "il Nuovo Hobbit".
Tutta l'Opera di Tolkien - e mi prendo la libertà di una maiuscola per sottolineare la globalità del riferimento - è permeata di una profondità tale da poter essere esplorata e meditata in lungo e in largo prima di poterne trovare il (labilissimo) confine.
La prima volta che leggerete Tolkien vi troverete una bella trama, dei personaggi interessanti, uno stile piacevole e - perché no - una fastidiosa, interminabile lista di nomi perlopiù incomprensibili. Chiuderete il volume soddisfatti e lo riporrete in qualche scaffale della vostra polverosa libreria.
Passeranno degli anni e forse lo tirerete fuori per una lettura della buona notte ai vostri figli.
Sarà allora che vi accorgerete, stupefatti, di non averlo ancora letto da cima a fondo.
Vi sembrerà di trovarvi in quella situazione di chi apre un cassetto alla disperata ricerca di qualcosa che però non trova; poi, aprendolo una seconda volta senza aspettarsi nulla, ecco che vede saltare fuori "qualcosa di inaspettato".
Non è affatto un caso che Peter Jackson abbia deciso di intitolare il primo film della sua nuova trilogia - avremo modo di parlarne più avanti - "An unexpected journey".
Un viaggio sarà proprio quello che vi parrà di fare ogni volta che aprirete Tolkien, a quindici, trenta o sessant'anni e, come Bilbo Baggins al ritorno dalla sua avventura, dopo non vi sentirete più quelli di un tempo; perché c'è in tutte queste storie di Elfi, Nani, Uomini e Hobbit una sorta di rumore di sottofondo che comunica al vostro cuore, ancor prima che alla vostra testa, quanto la vita di tutti i giorni sia un viaggio nelle lande selvagge e pericolose, un alternarsi di desiderio di partire
-"To run off into the Blue" direbbero i nostri amici della Contea-
e di nostalgia per quelle cose di casa che non sono il caffellatte o i panini e marmellata a colazione, ma una condizione esistenziale che è tipica di coloro che - per parafrasare le parole di un grande studioso italiano di Tolkien, Paolo Gulisano - non hanno ancora risposto a una chiamata. Perché, dopotutto,
"la vita è la responsabilità di una risposta a una chiamata.".
E allora ecco che riuscirete a scoprire un pezzetto di quello che siete o di quello che vorreste essere in ognuna di quelle pagine fitte di caratteri.
Nella sua "Vita di J.R.R. Tolkien" Michael White scrive:
"Nel Signore degli Anelli Tolkien è riuscito a creare non solo un mondo fantastico con scene di battaglie, strani esseri e intensa avventura, ma ha anche scavato nelle emozioni umane e ha sondato la personalità in modo (quantomeno) paragonabile a qualsiasi autore della letteratura moderna."
La riprova di tutto ciò sta nel fatto che, a discapito delle pur numerose critiche e previsioni pessimistiche ricevute sessant'anni orsono, tuttoggi Tolkien è in cima alle classifiche degli autori preferiti dai lettori di tutto il mondo.
I suoi libri sono stati tradotti in più di trenta lingue e da ogni angolo della Terra si levano ogni giorno le voci di appassionati che chiedono ancora, ancora e ancora materiale inedito, nuovi scorci, nuove storie, nuove risposte:
la Terra di Mezzo si è estesa ormai da un capo all'altro del globo, presso un pubblico che comprende lettori senza distinzioni di sesso, di età, di razza o estrazione sociale, a dispetto di tutte le etichette che in questi anni si è tentato di affibbiare impropriamente ad un uomo che tutto aveva, tranne che idee categoriste.
Tra meno di quattro mesi arriverà nei cinema il secondo capitolo de Lo Hobbit di Peter Jackson, La Desolazione di Smaug; com'era prevedibile, sulla scia di quanto accaduto dieci anni fa con la produzione della trilogia de Il Signore degli Anelli, tutto un merchandising si è ravvivato per soddisfare le esigenze dei temerari, curiosi nuovi avventori (ma anche dei veterani) che, uscendo dalle sale, vorranno saperne qualcosa di più su questi Hobbit e sulle loro avventure.
Ed ecco che - ci auguriamo - una nuova generazione di cultori della vera Hobbitry inonderà i già affollatissimi luoghi di riunione (virtuali e non) di tutti i Tolkieniani.
Un fenomeno in continuo ed esponenziale fermento, quello che vede l'ultimo quarantennio popolarsi di associazioni, gruppi di discussione, di incontro, forum e chatroom, siti web, giochi di ruolo e manifestazioni in costume dove milioni di appassionati si ritrovano per re-immergersi ancora una volta nel mondo fantastico - eppure così sorprendentemente reale nei suoi aspetti più profondi - che ha catturato i loro cuori.
E come dimenticare tutta la generazione di nuovi scrittori di fantasy che tanto devono all'infaticabile dedizione che ha portato l'opera di Tolkien a inaugurare uno dei filoni letterari attualmente più in voga?
J.K. Rowling, Christopher Paolini, George R.R. Martin, Terry Brooks, Terry Goodkind, sono solo alcuni dei nomi di cui negli ultimi anni si è sentito così frequentemente parlare.
In una recente discussione sull'argomento, ricordo che qualcuno disse, riprendendo una citazione del Professor Valerio Capasa, docente di italianistica all'Università di Bari, che la letteratura è:
"la capacità dell'amicizia di valicare i secoli. La capacità che avevano gli autori, tramite la parola scritta, di essere miei amici, parlando delle cose che stanno più a cuore ad ogni uomo."
Da allora ho molto riflettuto sul significato di questa affermazione e, a prescindere dalle conclusioni a cui possa essere pervenuta in quell'occasione, un dato di fatto è che Tolkien, forse al di là delle sue stesse più rosee previsioni, ci è riuscito pienamente.
Trattandosi di un modesto tentativo di bilancio, ideato e realizzato come personale modo di onorare la memoria di un autore che tanto ha dato a chi scrive, non potrei omettere di riferire, con una concisa disamina, quanto nello specifico abbia riguardato il nostro Paese del fenomeno finora descritto.
La vicenda editoriale di Tolkien in Italia è stata piuttosto travagliata.
Col ritardo che ha sempre contraddistinto in certi settori la nostra Penisola, l'autore britannico fa la sua prima timida comparsa nelle librerie del Bel Paese solo nel 1967, con la prima ed unica edizione Astrolabio Ubaldini de La Compagnia dell'Anello, traduzione di Vicky Alliata di Villafranca, una tiratura di scarso successo, con un totale vendite che si dice non superasse le poche centinaia (altri parlano addirittura di decine).
Contrariamente a quanto annunciato nel risvolto di copertina, questa prima edizione non fu seguita dalla pubblicazione degli altri due volumi della trilogia.
Visto il flop, le traduzioni della Alliata furono cedute all'allora direttore editoriale della neonata Rusconi, Alfredo Cattabiani.
Si dovette quindi aspettare il 1970 per vedere la prima edizione completa della trilogia, a cura di Quirino Principe e con introduzione di Elèmire Zolla.
Fu subito chiaro il valore della scelta editoriale di Cattabiani: "Magistrale" e "Inattaccabile" fu definita nel 1971 da Tito Perlini, che pure non scriveva privo di disappunto:
fin dall'inizio infatti, Tolkien è stato il destinatario di numerose e inesatte interpretazioni, fino a diventare vero e proprio terreno di scontro su cui per anni si sono battuti cattolici, marxisti, hippie, militanti della Destra; così nel 1976, "Eowyn" diventava il manifesto della nuova femminilità nell'omonima testata della destra missina e l'anno dopo a Montesarchio (BN) oltre duemila ragazzi si riunivano per il primo Campo Hobbit.
Fioriscono poi le riletture in chiave cattolica delle Opere, sicuramente meno travisanti di quelle politiche, ma pur sempre improprie quando si riducano a un mero esercizio di "biblificazione" fine a se stesso - D’altro canto in certi ambienti protestanti, The Lord of the Rings è stato addirittura demonizzato. - Non dobbiamo dimenticare quanto Tolkien fosse infastidito dal veder definito il suo lavoro come una grande allegoria; quanto ci fosse di giustificato nell'energia con cui respingeva questa ipotesi, non è la sede giusta per discettarne, per il momento ci accontenteremo delle parole dell'autore stesso che, in una lettera del 1957, in modo alquanto "Gandalfiano", conclude sull'argomento:
"That there is no allegory does not, of course, say there is no applicability."[3]
Nel 1973, (pro)seguendo l'intuito della rivale Rusconi, Adelphi portò finalmente in Italia quello che per Tolkien era stato il romanzo d'esordio, Lo Hobbit, che nella versione tradotta della Conte fu sottotitolato "O la rinconquista del tesoro": nel Regno Unito erano passati ormai trentasei anni dalla prima edizione Allen&Unwin che aveva consacrato Tolkien come scrittore.
Seguivano, ancora, da parte di Rusconi, le cosiddette "opere minori":
- Albero e Foglia, 1976
- Le Avventure di Tom Bombadil, 1978
- Le lettere di Babbo Natale, 1980
- Mr Bliss, 1984
- La realtà in trasparenza. Lettere (1914-1973), 1990
- Lo Hobbit a fumetti, 1997
- Il Silmarillion, dopo una lunga attesa, 1997
- Racconti Ritrovati, 1998
- Racconti Perduti, 1998
E poi ancora raccolte di mappe e illustrazioni disegnate da Tolkien di proprio pugno a corredo dei suoi volumi.
Nel 2000, i diritti furono ceduti dalla Rusconi alla Bompiani, con cui ancora si combatte per avere una riveduta che integri le venti righe mancanti dal finale del capitolo "Molti incontri" de Il Signore degli Anelli, per non parlare delle migliaia di lettori che ogni anno chiedono a gran voce di continuare la traduzione della History of Middle-Earth, uscita a cura di Christopher Tolkien nel Regno Unito, in volumi separati, fra 1983 e 1996, o della necessità di una ristampa delle Lettere, esaurite ovunque.
Al di là delle vicende editoriali, che sarebbe difficile approfondire ulteriormente in questa sede, una tappa importante nella storia degli studi Tolkieniani in Italia è stata segnata dalla costituzione, nel 1994, della Società Tolkieniana Italiana che, fra le altre cose, ha collaborato con la casa editrice Bompiani per la revisione di diversi volumi di Tolkien e che ogni anno tiene una manifestazione settembrina (Hobbiton) a cui accorrono numerosi fan.
Sarebbe davvero un lavoro ingrato ed inevitabilmente parziale tentare di elencare tutti i gruppi e le associazioni che da anni si prodigano per lo studio e la diffusione delle opere di questa grande penna del Novecento letterario; pochi nomi fra tutti (perché non posso esimermi da una sicuramente meritata menzione):
l'Associazione Culturale Eldalië, che col suo sito rimane un punto di riferimento irrinunciabile per ogni appassionato Tolkieniano;
gli amici di Sentieri Tolkieniani, per l'inesauribile entusiasmo con cui accompagnano le serate degli ascoltatori della loro webradio e per l'annuale omonima manifestazione di Osasco (TO);
l'Associazione Romana Studi Tolkieniani, dove il dibattito è sempre aperto e pieno di spunti interessanti;
il sito Ardalambion, nella versione italiana realizzata da Gianluca Comastri, imperdibile per gli amanti delle lingue elfiche e non...
E come dimenticare tutti gli studiosi che si sono cimentati nella pubblicazione di saggi e articoli vari su Tolkien e la Terra di Mezzo?
Paolo Gulisano, Roberto Fontana, Franco Manni, Paolo Paron, Roberto Arduini, per citarne alcuni fra i più famosi.
Approdiamo finalmente ad un argomento che sta molto a cuore all'ultima generazione di Tolkieniani - di cui io stessa, dopotutto, faccio parte - : i film di Peter Jackson.
Vincitrice di ben 17 statuette, la trilogia dell'Anello sbancò i botteghini di tutto il globo.
Girati nella bellissima cornice naturale della Nuova Zelanda, i film sono costati alla New Line Cinema all'incirca 300 milioni di dollari e allo staff di Jackson circa sette anni di lavori (dal 1997 al 2003) tra pre-produzione, riprese e post-produzione.
Per la dedizione e la cura di ogni singolo dettaglio, nonché per la dimostrata conoscenza di Tolkien, Peter Jackson, insieme a tutta la sua ciurma, si è meritato un posto nel cuore di tutti i Tolkieniani.
Dopo l'enorme successo ottenuto, era logico ritenere che solo una questione di tempo separasse anche "Lo Hobbit" dalle sale cinematografiche, e infatti così è stato.
Facendosi strada fra le difficoltà finanziarie della MGM e le azioni legali intraprese dalla Tolkien Trust contro la New Line Cinema, finalmente un’altra trilogia ha raggiunto il grande pubblico: nonostante alcune critiche e i tre oscar mancati, Un viaggio inaspettato si può considerare senza dubbio un successo: ritrovare Ian Mckellen nei panni di Gandalf, le verdi e dolci colline della Contea, le magistrali interpretazioni di Andy Serkis (stavolta anche dietro la macchina da presa, come regista di seconda unità), e poi le canzoni, le meravigliose panoramiche delle Terre Selvagge, l’amata Gran Burrone, le sempre emozionantissime colonne sonore di Howard Shore, nonché l’innovativo 3D-48fps, le superbe new entry nel cast, primi fra tutti Martin Freeman – che a vederlo sembra nato per interpretare il giovane Bilbo – e l’affascinante Richard Armitage – che come Thorin Scudodiquercia emana maestà da tutti i pori – è stato senz’altro il regalo di Natale più bello per chi ha atteso questa pellicola fin da quando fu annunciata nel (lontano, per chi adesso conta i giorni a La Desolazione di Smaug) 2007.
Le case editrici non hanno perso l’occasione di pubblicare subito guide e tie-in dei film e speriamo tutti (non fa male ripeterlo) che la Bompiani faccia tesoro del momento per riprendere con nuovo vigore le traduzioni di Tolkien.
La scuola italiana si è mostrata piuttosto conservatrice - oltranzista, oserei dire - sotto il profilo dei programmi, con un categorico rifiuto nei confronti del genere fantasy (e quindi, indirettamente, di Tolkien), come se da un ragazzino di pochi anni ci si aspetti che tragga di più dai Promessi Sposi che da un Lo Hobbit o, viceversa, che uno studente di liceo sia troppo in là con gli anni per una “fiaba”.
Al contrario, i marchi commerciali non hanno voluto correre il rischio di essere oggetto di recriminazioni di questo genere, così i produttori di videogames hanno lanciato decine di espansioni per Computer, Play Station, Xbox - e più ne metta chi più se ne intende -, la Moleskine ha di recente messo in commercio l’esclusiva agenda Lo Hobbit e la Nuova Zelanda si presenta ormai ufficialmente con lo slogan “Take a journey through Middle Earth” e non si può dire che le reazioni a questo fenomeno siano state concordi.
C’è chi semplicemente si fa acquirente entusiasta, chi se ne cura poco e chi, infuriato, incita alla cacciata dei mercanti dal Tempio.
Mi pare ci sia di vero, nelle denunce di questi ultimi, che presi dalla brama di immergerci completamente nel mondo della Terra di Mezzo, ci siamo in parte lasciati distrarre dal vero messaggio di Tolkien.
Sarà forse ritornando alla semplicità, alla pura hobbitry di cui il Professore stesso si diceva cultore
- “I am in fact, a Hobbit in all but size” [4]-
che ritroveremo quegli stessi valori che ci hanno fatto innamorare alla prima (o alla seconda) lettura e faremo del nostro cuore un’eterna, reale Terra di Mezzo.
“If I'm remembered at all it will be by The Lord of the Rings I take it. Won't it be rather like the case of Longfellow, people remember Longfellow wrote Hiawatha, quite forget he was a Professor of Modern Languages!”[5]
[J.R.R. Tolkien]
1 “Bisogna capire che questo è un libro per bambini solo nel senso che la prima di molte letture può essere fatta nella camera dei bambini. Alice è letta seriamente dai bambini e ridendo dagli adulti; Lo Hobbit, invece, sarà divertentissimo per i suoi lettori più giovani e, solo dopo qualche anno, alla decima o ventesima lettura, cominceranno a capire quale erudizione e profonda riflessione ci siano volute per rendere tutto così maturo, così affabile e, a suo modo, così vero.”
2 “Quando si attenuano l'umorismo e la semplicità dei primi capitoli, cioè la pura 'Hobbitry', passiamo impercettibilmente nel mondo dell'epica.”
3 “Che non ci sia allegoria non significa, naturalmente, che non ci sia la possibilità di leggervene una.”
4 “Sono uno Hobbit in tutto, tranne che nella statura.”
5 “Se sarò mai ricordato scommetto che sarà per "Il Signore degli Anelli". Sarà pressappoco come il caso di Longfellow, la gente ricorda Longfellow perché ha scritto Hiawatha, ma dimentica quasi completamente che era un professore di Lingue Moderne!”
Tinúviel
Il Fosso di Helm