Il Fosso di Helm

Approfondimenti

La casa Piccina del Gioco Perduto: Mar Vanwa Tyaliéva

composta ad oxford il 27-28 aprile 1915 ( quando tolkien aveva 23 anni ) questa poesia, come numerosi altri componimenti di tolkien, è conservata in numerose versioni. il titolo originale era “tu e io/ e la casetta del gioco perduto”, fu poi cambiato in “mar vanwa tyaliéva, la casetta del gioco perduto” , mentre la versione finale è “la casa piccina del gioco perduto: mar vanwa tyaliéva”. nella poesia però, non si narra della casetta del gioco perduta ( in tol eressëa ), bensì della casetta dei bambini, o casetta del gioco del sonno ( nella città di kôr su túna, a Valinor ), che gli uomini cantano erroneamente come casetta del gioco perduto. nella poesia si narra del viaggio di due bimbi umani a Valinor durante il sonno, attraverso il sentiero invisibile di olórë mallë, che attraversava arda, e che era raggiungibile solamente in sogno. questa concezione sarebbe stata del tutto abbandonata da tolkien e, come suggerisce il figlio cristopher nei racconti ritrovati “[…]essa non avrebbe trovato posto negli sviluppi della mitologia, e tanto meno ve ne sarebbe stato per l’idea che, in un possibile giorno futuro, <> sarebbero apparse <>. per una maggiore comprensione vi rimando, ancora una volta, ad una lettura dei racconti.

“the little house of lost play: mar vanwa tyaliéva”

we knew that land once, you and i, and once we wandered there in the long days now long gone by, a dark child and a fair.
was it on the paths of firelight thought in winter cold and white,
or in the blue-spun twilight hours of little early tucked-up beds in drowsy summer night,
that you and i in sleep went down to meet each other there,
your dark hair on your white nightgown and mine was tangled fair?

we wandered shyly hand in hand, small footprints in the golden sand, and gathered pearls and shells in pails,
while all about the nightingales were singing in the trees.
we dug for silver with our spades, and caught the sparkle of the seas, that ran ashore to greenlit glades,
and found the warm and winding lane that now we cannot find again, between tall whispering trees.

the air was neither night nor day, an ever-eve of gloaming light, when first there glimmered into sight the little house of play.
new-built it was, yet very old, white and thatched with straws of gold, and pierced with peeping lattices that looked toward the sea;
and our own children's garden-plots were there:
our own forgetmenots, red daisies, cress and mustard,
and radishes for tea.

there all the borders, trimmed with box, were filled with favourite flowers, with phlox, with lupins, pinks and hollyhocks,
beneath a red may-tree;
and all the gardens full of folk that their own little language spoke, but not to you and me.
for some had silver watering-cans and watered all their gowns,
or sprayed each other;
some laid plans to build their houses,
little towns and dwellings in the trees.
and some were clambering on the roof;
some crooning lonely and aloof; s
ome dancing round the fairy-rings all garlanded in daisy-strings, while some upon their knees
before a little white-robed king crowned with mairigold
would sing their rhymes of long ago.

but side by side a little pair with heads together, mingled hair,
went walking to and fro still hand in hand; and what they said, ere walking far apart them led, that only we now know.

“la casa piccina del gioco perduto: mar vanwa tyaliéva”

un tempo conoscevamo quella terra, tu e io,
e una volta là vagando siamo andati
nei lunghi giorni da lungo tempo nell’oblìo
una bimba bruna, un bimbo con i capelli dorati.
forse per i sentieri del pensiero al focolare
nella stagione fredda e bianca,
o nelle ore intessute di blu crepuscolare
di piccoli letti presto rimboccati
d’estate nella notte stanca,
nel dormire tu e io viaggiammo sicuro
e là ci siamo incontrati,
sulla vestina bianca i tuoi capelli scuri
e i miei biondi arruffati?

camminavamo timidi per mano,
in sabbia d’oro tracce di bambino,
raccoglievamo perle e conchiglie nei secchielli,
e tutt’intorno cantavano gli uccelli,
gli usignoli in alto fra le fronde.
scavammo a cercare argento con le pale
cogliendo scintillii di sponde,
poi corremmo a riva lungo ogni radura erbosa
per scoprire la tiepida viuzza tortuosa
che ora non sappiamo più trovare,
tra gli alti alberi e il loro sussurrare.

non era notte, non era giorno compiuto,
ma un crepuscolo perpetuo di luci soffuse
quando la prima volta allo sguardo si dischiuse
la casa piccina del gioco perduto.
pur vecchissima, appena innalzata,
bianca, e il tetto di paglia dorata,
con i trafori di grate per spiare
che guardavano verso il mare;
c’eran le nostre aiuole di bambini,
i non-ti-scordar che ornano i giardini,
margherite rosse, senape e crescione,
e ravanelli per il tè…
là tutti i lati, adorni di bosso,
erano colmi dei fiori preferiti: il flogo,
il lupino, il garofano e l’altea,
sotto un albero di maggio rosso;
la gente invadeva i giardini
e parlava i propri linguaggi bambini,
ma non con me e te.

perché certi, con argentei innaffiatoi,
si bagnavano le vesti tutte intere
o spruzzavano gli altri; alcuni poi,
per costruire case, città piccole o dimore
negli alberi, stendevano il progetto.
certi si arrampicavano sul tetto;
altri cantavano, solo e isolati; o in tondo
qualcuno danzava i cerchi delle fate,
avvolto in ghirlande di margherite,
e c’era chi stava in inchino profondo
dinanzi a un piccolo re che di bianco s’abbigliava,
la corona di calendule; e cantava
le strofe di tanto tempo fa…
ma due piccoli bimbi affiancati,
teste vicine, capelli mescolati,
camminavano qua e là
per mano ancora; e quanto tra loro si diceva
prima del risveglio,
che separarli doveva,
solo noi conosciamo, ora e qua.

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